Il Bumbumchakata
Stasera andrò a vedere Silvio Orlando al Teatro Parenti.
Ha fatto capolino un ricordo...questo fu il mio mezzo di trasporto all'Avana, durante due anni di Periodo Especial.
Per andare al lavoro, in città, al mare, ovunque.
Un camioncino Ford del 1938 per il trasporto, all'epoca, del latte. Senza più porte nè finestrini, con due panche di legno interne. Tre marce. La retromarcia, a spinta di generosi passanti. Ottimo per filmare in camera car, balestre più morbide di una stadycam, potevano starci più persone a seconda della loro stazza, una crew completa con le attrezzature.
Ma servì anche in estemporanee occasioni, come caricare un lettino con inserita anziana signora per correre all'ospedale, sconosciuti che salivano e scendevano a loro piacere, qualche rivenditore clandestino di frutta che mi prendeva per suo collega. E il nostro ambasciatore italiano, che lo apprezzava molto ma che doveva essere seguito da un fiammante suv con autista. Un giorno, fermati da un sospettoso poliziotto, fu impossibile spiegargli come mai un ambasciatore preferisse viaggiare così, guidato da un altro italiano alquanto strano magro e abbronzato come un cubano ma accreditato come giornalista, finchè si arrese e ci lasciò grattandosi la testa.
Un giorno arrivò la delegazione italiana al Festival del Cinema Latinoamericano. Quando, uscendo dal loro albergo e non trovando taxi, anche loro vollero salire tutti sul Bumbumchakata, soprannome che gli veniva dato dai bambini del quartiere dove abitavo, ispirati da un cartone animato. Quando lo parcheggiavo vi salivano sopra e cercavano (invano) di smontarlo, il loro maggior divertimento era aiutarmi a riempire d'acqua il radiatore, quando bolliva usciva un fumo bianco. Una volta alcune bambine uscite da scuola improvvisarono un balletto sul tetto con i bastoni e cilindri del saggio scolastico.
Tornando ai nostri connazionali, salirono Ettore Scola e sua moglie, Piero Vivarelli idem, Davide Bassan scenografo con consorte, Silvio Orlando, altri e una giovane attrice cubana, Yvelin Girò. Andai a tavoletta, alla folle velocità di 18-20 km all'ora, verso la Terrazza di Cojimar, il ristorante dei pescatori descritto molte volte da Hemingway ne Il vecchio e il Mare.
Fu una serata molto allegra, romantica e nostalgica, ora quel ristorante non c'è più, è stato distrutto da un ciclone. Era l'unico posto dove poter cenare con una vera e genuina zuppa di pesce, in riva al mare.
Un'altra volta andai a prendere all'aeroporto un noto scrittore italiano. Peccato che si scatenò a metà strada un violento temporale. Cercai di farlo sorridere, di spiegargli che lì si diceva "si terrà lo spettacolo anche sotto le intemperie", che la pioggia era tiepida, che il tropico...ma il vento non era tiepido, lo lasciai in albergo, non mai saputo come sia sopravvissuto.
Siko
Luglio 1972. Dopo l’apprendistato come assistente presso vari fotografi, mi presentai con il mio primo book all’agenzia Diagonale, che aveva il suo studio fotografico all’angolo di casa mia e dal quale vedevo passare un gran via vai di persone.
Al primo appuntamento, il lungimirante boss Luigi Testori mi fece al volo un contratto di collaborazione: aveva appena acquisito un cliente di moda per bambini, l’Omino di Ferro.
Bisognava realizzare redazionali e cataloghi, in esterni e in studio, costruendo nuvole ed altre scenografie di polistirolo da incollare sui fondali colorati. Si eseguiva il lavoro manuale sotto l’ attenta direzione creativa di Testori, un’ ottima gavetta.
Finchè un importante sponsor, la Montefibre (Eni) che aveva brevettato un nuovo filato per il marchio Omino di Ferro, incaricò l’agenzia Diagonale di pensare ad una campagna stampa che fosse di forte impatto visivo e per una grande diffusione. Si mormorava che era stato contattato uno dei più noti fotografi del momento, ma non trapelava nulla del progetto.
All’improvviso Testori mi convoca urgentemente in agenzia: mi chiede se ho il passaporto, per motivi vari il noto fotografo non può realizzare il lavoro ed ormai tutto è già organizzato.
Destinazione: partire tre giorni dopo per la Groenlandia. Essendo ancora minorenne, dovetti avere il consenso dei genitori.
Avevo anche già un eskimo, come usava allora : per cui nessun problema.
Partimmo per Copenaghen, poi per la capitale Groenlandese, poi per un piccolo eliporto dove pernottammo in attesa che smettesse di nevicare, e finalmente giungemmo a Jakobshan.
Un piccolo villaggio di casette di legno colorate dedito alla pesca dei gamberetti, un albergo-container con vista sui un’infinità di iceberg. Venne anche una madre italiana con i suoi due figli biondi con gli occhi azzurri, come allora la pubblicità esigeva.
Appena arrivati, i bambini si ammalarono, e perdipiù nevicava ininterrottamente.
Poi scoprimmo che di sera e di notte non nevicava per il calo della temperatura, e c’era ancora luce, un bellissimo infinito controluce. Bisognava ingegnarsi. E facemmo un casting con i bambini del villaggio, tutti rubicondi e pettinati a caschetto, ed un paio di ragazzini danesi.
A volte ripenso a quell’esperienza…imparai a bere la birra con i gamberetti crudi, varie parole della lingua inuit, a comunicare con gesti e sguardi. E soprattutto a cercare di trovare in qualunque situazione una soluzione per quanto strana possa sembrare.
In quel caso fu anche la fortuna della campagna, il casting sul campo anticipò i tempi, e Testori trovò il claim perfetto: “ Ciao mondo “
All’epoca si buttavano tutti i rullini direttamente in sviluppo…senza test…che vennero dopo.
Mi sono anche spesso chiesto come fu possibile l’avermi dato tale enorme fiducia , non glielo chiesi mai direttamente…non mancavano altri fotografi già noti ed esperti… so che gli devo moltissimo, quel lavoro mi aprì molte porte nelle redazioni e nelle agenzie di pubblicità.
E mi diede anche un fedele amico, il piccolo cucciolo che cerca il latte della madre nella foto più nota: al momento della partenza, la proprietaria me lo porse con un sorriso indimenticabile. Lo misi in una tasca dell’eskimo e Siko, primo Husky viaggiatore e modello, rimase con me per 17 anni.
Korda Story
Il 5 marzo 1960 il fotografo cubano Alberto Diaz Gutierrez, detto Korda ( nome d’arte da lui stesso inventato), scattava all’Avana, in calle 23y12, il ritratto del Che, che sarebbe diventato l'immagine più riprodotta nella storia della Fotografia.
Qui ritratto per Harper's Bazaar nel suo piccolo studio all'Avana.lo stesso giorno passò anche Gabriel Garcia Marquez e feci degli scatti anche a lui e ad altri amici.
Con Alberto e la “vieja Sara”, come chiamava sua madre e con cui viveva nella sua casa-studio
Alberto non è stato solo l'autore della fotografia del Che, prima di quello scatto era il fotografo di moda più noto a Cuba, viaggiava fra New York e Parigi con sua moglie Norka, modella che sfilava per Dior. Aveva fama, successo, un grande studio nel centro della'Avana, una casa sontuosa nel quartiere più esclusivo della città.
Ma quando Fidel Castro vinse la Rivoluzione, non scappò per continuare quella brillante vita altrove. Era un uomo curioso, innamorato della sua cubanità. Accettò la nazionalizzazione del suo studio, e poi della sua casa, così come la scomparsa dei clienti e dei magazine patinati. Si appassionò all'utopia e le si dedicò come sapeva fare, raccontandone la storia con la sua Leica. Alberto negli ultimi anni aveva ricominciato a fotografare le donne, la sua grande passione, e bellezza e la moda cubana. E a fare da talent scout. Fu lui a presentarmi, Iveli Girò la sua ultima giovane musa. La fotografai a Cuba per Anna e qui sotto a Milano per King.
Nel 2003 Alberto Korda decise che era venuto per lui il momento di riposarsi a Parigi.
Il fotografo suo fedele amico ed ex assistente Alberto Figueroa così diede la notizia agli amici:
"Oggi se n'è andato Alberto Korda, i mariti e fidanzati delle giovani e belle ragazze di Cuba possono ora dormire sonni tranquilli, e molte di quelle ragazze rimpiangeranno di non averlo conosciuto".
Da parte mia, ricorderò sempre un maestro di vita, un amico generoso, allegro e con un grande senso dell’umorismo, disinteressato alla fama e gli onori, capace di adattarsi ad ogni situazione, innamorato della fotografia, della vita e…come sopra.
GianPaolo Barberis, in arte Paolo Gianbarberis, e Virginia Minnetti in arte Viola Valentino.
Un giorno al liceo, un compagno di classe mi dice che ha un fratello fotografo, che cerca un assistente. Vado a trovarlo, comincio così a guadagnarmi qualcosa per le vacanze, e a conoscere un mondo sconosciuto. Aveva un classico studio in un seminterrato, ben attrezzato fra luci fondali e camera oscura, e una buona notorietà.
Feci la gavetta: mettermi un grembiule, ripitturare il limbo bianco, pulire per terra, spostare le luci, i cavi, i generatori dei flash. Andare al bar a prendere i caffè per i clienti, correre a comprare pellicole ed accessori, qualunque cosa fosse necessaria. E cominciai anche a passare lunghe ore in uno spazio misterioso: la camera oscura. Un luogo affascinante, ma anche inquietante e pieno di rischi.
Di rovesciare qualcosa, di accendere la luce con le scatole di carta aperte, o mentre sviluppavo le pellicole. Perdere il senso dello spazio e del tempo. Assorbendo gli odori nauseabondi dei liquidi per sviluppare, l’acido acetico che rimaneva nelle narici per ore anche dopo uscito dallo studio. Mi appassionai, imparai ad usare l’ingranditore, le Hasselblad, le Nikon, i Balcar. Gianpaolo faceva il burbero , ma era una persona generosa, mi dava sempre maggiori responsabilità, poi qualche primo lavoretto , poi le chiavi dello studio per fare i test nei week end, nacque un bel rapporto umano e creativo.
Amava moltissimo le foto di Sarah Moon, mi contaminò, andai a Parigi a conoscerla e scoprii che eravamo lontani parenti. Gianpaolo lavorava per clienti della moda, e ritraeva anche molte cantanti famose dell’epoca: Mina, Patty Pravo, Loredana Bertè, con Gigliola Cinquetti passammo un indimenticabile viaggio fra le sue montagne trentine. E veniva spesso a trovarci Viola Valentino, la sua canzone Comprami era in hit parade, era sposata con
Riccardo Fogli dei Pooh. Così li fotografai in un momento di, rara, ilarità. In realtà ci accomunava una certa propensione per lo spleen…ascoltava e riascoltavamo infinite volte James Taylor e Carol King, nei momenti di pausa buttai sul divano nel chiaroscuro del seminterrato. GianPaolo, all’apice del suo successo, anche come regista di spot, decise di abbandonare la professione e di ritirarsi in una vita spirituale e a dipingere bellissimi quadri, come continua tuttora a fare.
Bolivia 1976
Primavera del 1976. Dopo il viaggio in Groenlandia, l’agenzia Diagonale decide di realizzare un altro viaggio, molto più lungo ed impegnativo, che attraversi quasi tutto il Sudamerica: Brasile , Bolivia, Argentina fino alla Patagonia e Perù. Redazionali di moda per Gioia, immagini pubblicitarie per diversi clienti.
Appena arrivati a Rio de Janeiro fummo rapinati per strada, continuammo senza orologi. Per esorcizzare l’accaduto andai una sera a vedere un concerto di Gal Costa, allora giovane promessa e tuttora star della canzone brasiliana. Poi andammo alle gigantesche cascate di Iguaçù, che confinano con l’Argentina ed il Paraguay. Di questo grande e lungo viaggio denso di avvenimenti, sensazioni, emozioni, conservo pochissime immagini, come queste sbiadite Polaroid scattate nella seconda tappa, la Bolivia. Tutto il materiale rimase in agenzia, al ritorno decisi di continuare da free lance, e si chiuse la collaborazione con Diagonale che ringrazierò sempre per la fiducia e le opportunità di crescita ed apprendimento che mi ha dato. In queste immagini siamo nella Valle della Luna, una conformazione montagnosa che collega capitale La Paz, attraverso una tortuosa e stretta strada fino alle falde del Lago Titicaca. Tornati a La Paz, a causa della rapina fui mandato a ritirare del denaro inviatoci dall’ Italia, il metodo più veloce fu che andassi a ritirarlo presso la Nunziatura del Vaticano, con sede all’Università Cattolica. La quale era occupata all’interno dagli studenti, e circondata all’esterno da numerosi cordoni di soldati dell’esercito in assetto di guerra. Il paese era infatti governato dal dittatore Hugo Banzer e la tensione era molto alta. Fui fatto passare dopo ripetuti controlli, mi ricevette il Nunzio, che mi chiese in dialetto della sua città, Napoli. Avevo mille pensieri, avrei voluto fare mille domande. Non si poteva, uscii velocemente, e non dimenticherò mai il coro degli studenti che intonarono La Paloma, La Colomba cantata in italia da Sergio Endrigo.
Mentre scattavo le foto successive, apparve una donna con una bimba, ci osservavano con curiosità , scattai due polaroid, una per loro. In un attimo la bimba si avvicinò e sorrise, la modella la prese in spalla aiutata dalla madre. Chissà se la bimba ha ancora quelle polaroid.
Vietnam 1977
A meno di due anni dalla fine della guerra del Vietnam, mi venne proposto di fare da guida ed interprete, grazie alla padronanza del francese , ad una delegazione italiana composta da un ristretto numero di giornalisti, editori, personalità della cultura.
Viaggiammo a bordo di un pullmino da Hanoi fino a Saigon, già diventata città Ho-Chi-Min. Fu un viaggio di forti emozioni, la mia generazione aveva manifestato nelle strade, scuole ed Università contro quella lunga guerra in cui erano caduti centinaia di migliaia di nostri coetanei americani così come della popolazione locale. Visitammo villaggi, campagne, scuole così come le vestigia dell’antica civiltà imperiale Vietnamita che furono teatro di sanguinosi combattimenti.
Ovunque vedemmo distruzione, non potevamo allontanarci dal pullmino e dalla nostra guida per la presenza di mine, nemmeno per impellenti bisogni fisiologici, davanti all’ilarità della nostra guida ed estemporanei spettatori, soprattutto donne, che ci superavano su camion, motorini e biciclette.
Avevo una NikonF1 e qualche rullino, un certo pudore mi fece scattare poche immagini. La pellicola fu tirata a 1600 asa, in un contesto umano e geografico avvolto da una perenne bruma, umida, spesso piovosa, una luce diafana e azzurrina.
Come quella con cui fotografai la scolaretta che cantò per accomiatarci ed il nostro soldatino guida, all’alba, assorto e affascinato dalla meraviglia della baia di Ha-Long.